con la partecipazione speciale di canecapovolto

a cura di Antonio Grulli

opening sabato 26 gennaio 2013, ore 20_24

 

la mostra prosegue su appuntamento fino al 22 febbraio 2013

 

Si notò che all’arrivar del vespero, i gemelli erano più quieti e, quando non v’era, molto più vivi.

Questo progetto di Luca Bertolo (Milano, 1968) é realizzato con la partecipazione speciale di canecapovolto (gruppo fondato nel 1992 a Catania). Il filo conduttore dei lavori in mostra è il concetto di “cancellazione”. Bertolo presenta un’installazione comprendente una serie di fotografie scattate negli ultimi due anni, parte di un archivio che ha come soggetto i muri di città da cui sono state cancellate tag o scritte di vario tipo. L’interesse dell’artista è dovuto sia alla forza pittorica dell’immagine originata da queste “toppe” di colore, sia ai possibili rimandi sociali e politici di questo processo di sovrapposizioni e cancellazioni reciproche. canecapovolto presenta un video intitolato La parola che cancella, terminato nel 2013, che riutilizza materiale sonoro di lavori precedenti. 

 

COMUNICATO CONGIUNTO – 17/I/2013

La creazione precede la riflessione. La riflessione precede la creazione. L'errore del materialista è sempre dietro l'angolo.
Uno degli ostacoli maggiori nell’apprendere un argomento nuovo è la sua nomenclatura.

La maniera più efficace di cancellare la memoria umana consiste nel creare un numero elevato di parole nuove, senza significato. Questo imporrà un esercizio di memoria sempre più gravoso per il cervello e successivamente l’intervento de “la parola che cancella”.

La parola cancella e non cancella. Anche raddoppiata, si esprime con naturalezza. Chi affronta la cronologia dimentica spesso quanto segue: la cronologia è sempre, anche,stratigrafia.
L'errore del materialista può, in alcuni casi, assomigliare all'errore dell'idealista.

Ciò che cancelliamo, ritorna. Ma sotto forma di cosa?
Accade che il segno cancellato ruggisca più forte.
E un appello ai colleghi: non sciogliete le ambiguità!

 

Antonio Grulli - Mi piacerebbe partire dal concetto che in fin dei conti è alla base dei lavori di questa mostra: l’idea di cancellazione. In particolare dal modo in cui tu, Luca, me ne hai parlato le prime volte che pensavamo a questa mostra. Dicevi che uno dei motivi per cui ritenevi interessanti queste immagini, da te scattate in giro per lo spazio urbano, e quindi pubblico, era che lontanamente ti ricordavano (correggimi se sbaglio) anche alcuni aspetti di come in Italia siamo soliti relazionarci con la nostra storia più recente, soprattutto all’interno del contesto della lotta politica. Ossia questo sistematico processo di “cancellazione”, da parte dei diversi schieramenti in campo, dell’analisi storica di un determinato avvenimento storico appena attuata dalla parte avversa. Mi ricorda quando da bambini si gioca facendo una pila di mani, e quello che rimane con una mano sul fondo è autorizzato a sfilarla per riposizionarla sopra le altre. Ora, più che cancellazione mi sembra che gli italiani siano soliti tentare di “aggiungere” nuovi elementi e nuove versioni senza essere mai in grado di confutare/eliminare/cancellare le versioni precedenti. Il processo non è mai a togliere ma ad aggiungere (sembra di parlare di scultori in questo momento). E di sicuro per molti la finalità non è quella di fare chiarezza, ma semmai creare un grande stato confusionale e cacofonico (come sono poi anche molti dei tuoi soggetti) nel quale è difficile districarsi. Mentre il lavoro di Cenecapovolto si avvicina all’idea di “cancellazione” vera e propria. Ti chiedo questo perché lo ritengo importante, soprattutto nel contesto in cui stiamo realizzando la mostra. Bologna, per quello che ho potuto capire in questi anni, è una città in cui la storia recente è molto presente, e continuamente ripresentata attraverso tutta una serie di riti e processi di iniziazione per i nuovi nati e i nuovi residenti. Alle volte mi sembra anche troppo presente, il passato, e non mi dispiacerebbe se qualche cosa si dimenticasse. Posso capire l’importanza di mantenere viva la presenza di fatti come la strage della stazione o Ustica, ma vi è tutto un corollario di cose assolutamente minori, come slogan e mitologie degli anni Sessanta e Settanta, di cui farei volentieri a meno, una riproposizione morbosa, soprattutto sui muri della città (sia nella versione classica “il nuovo 68 sarà calibro 38”, sia in geniali parafrasi come “Cofferati non Lama nessuno”).

Luca Bertolo - L'Italia è il paesedelle due (o più) versioni contrastanti, delle due verità.Molti fatti storici recenti sembrano galleggiare in quest'indeterminatezza ontologica, ovveronon riescono a diventare fatti.E'uscito persinoun libro su questo tema. Il punto cruciale è che, per una nazione, ladifficoltà a determinare i contorni delle proprie vicende significa nonavere una memoria condivisa. E senzauna memoria condivisa è difficile costruire qualcosa di migliore.Nei giorniin cui una bomba esplodeva aPiazza Fontana ammazzandodiciassette personee, poco dopo,il ferroviere anarchicoGiuseppe Pinelli moriva precipitando dalla finestra della questura, in quei giorni a Milano c'ero anch'io. Ci vivevo da diciotto mesi, cioè da quando ero nato. La polizia venne a perquisire casa nostra, e così via. Quella vicenda mai davvero risolta, quella storia che si srotola e riarrotola ha accompagnato la mia infanzia, l'adolescenza e poi la maturità. Chi ha messo quella bomba? Quello di Pinelli fu un'omicidio? Prendiamo le risposte di un campione di mille italiani... Se le false deposizioni fanno rabbia, sono però d’accordo con te che in un’altra prospettiva (cioè se abbandoniamo il piano dell’etica), il meccanismodella cancellazione ha anche risvolti assolutamente benefici.Una memoria senza lacune, una memoria assoluta - che si trattidelcervello di un individuo o dei libri di storia - sarebbe una cosa mostruosa, disumana. Qualcosa va dimenticato.C’è un ché di crudele in tutto questo, c’è un che di naturale: qualcosa deve morire affinché la vita si rinnovi.

AG - Ultimamente penso spesso a quanti fatti incredibili siano accaduti in Italia nel secolo scorso. In America (ad esempio, ma non è un esempio a caso) fatti del genere avrebbero ispirato grandi libri e forse anche grandi opere d'arte (sebbene l'arte sia forse un linguaggio legato a una dimensione più intima), qui da noi questo non è quasi mai successo. Forse mi sto allontanando dal nostro tema, ma credo invece che queste cose c’entrino perché hanno sempre a che fare con la capacità di una persona o di una società di trovare un senso, una verità, nelle cose e negli avvenimenti. Il fatto è che il "senso", o la verità "ultima" delle cose, è da un certo punto di vista fine a se stesso, e nella maggior parte dei casi può non piacere perché è complesso e contraddittorio come l'animo umano, quindi non buono o cattivo in blocco. Mi sembra invece che come italiani guardiamo sempre a cosa possiamo guadagnarci da una determinata situazione e come possiamo usarla strumentalmente. Anche nelle opere d'arte che sono state realizzate tematizzando avvenimenti del secolo scorso mi sembra che pochi abbiano cercato davvero di capire l'essenza profonda di un avvenimento, mentre molti (anche in buona fede) hanno tentato di rifletterci per ottenere un secondo fine, magari un secondo fine "buono", svilendo in ogni caso un determinato avvenimento. Ma tornerei al tema della cancellazione, perché ovviamente mi piacerebbe parlarne anche da un punto di vista artistico. Ultimamente per alcune mie cose sto leggendo molto Nietzsche e c'è questa sua frase che ho sempre in testa: "Chi deve essere un creatore, non fa che distruggere". In fin dei conti anche se cerchiamo di dare una visione edulcorata dell'arte si tratta pur sempre di uno dei mondi più spietati e conflittuali che esistano, e non parlo del sistema dell'arte ma proprio dell’essenza dell’arte. Non ci sono diritti, solo doveri. Poi mi torna sempre alla mente il lavoro Erased De Kooning di Rauschenberg che rimane uno dei grandissimi capolavori del secolo scorso e che ha ispirato profondamente anche Cage portandolo a realizzare 4'33"

LB – Aggiungo solo un paio di cose. Come sai, dopo anni che ci ritorno sopra, continuo a non capire cosa possa significare (in profondità) arte politica. Esistono le politiche culturali ecomprendo l'importanza di unacultura politica; ma la politica in sé (e non considero qui le infinite varianti della malafede), in quantoarte del compromesso al fine di unamigliore (cioè più giusta)convivenza, non può che essere antitetica, nella sua forma, alla pratica artistica: laddove quella ricercaconsenso suprogrammi precisi, questaproduceimprevedibili ambiguità; persino le loro forme abbreviate- lo slogan, l'opera -rappresentano polarità opposte da un punto di vista ermeneutico. Proporre e difendere la vera (cioè giusta)cosa da fare- è l'opzione (inevitabilmente un po' marziale) della politica; accettare la varietà (inevitabilmente contraddittoria) della cosaè l'opzione dell'arte. Servono entrambe, ma su piani diversi...Per tornare all’inizio: cosa diventa uno slogan scritto su un muro (ammesso che fosse uno slogan) dopo che viene cancellato?Quesito ontologico...

AG - Domenica (20-1-2013) ho letto su Repubblica un bellissimo estratto di Camille Paglia che parlava in maniera stupenda anche di queste cose. Te lo consiglio. Ma voglio evitare di citarla. Ti dico quello che per me la politica è per l'arte: un soggetto, come le marine, le nature morte, i paesaggi, ecc. Nulla di più, nulla di meno. 

Bologna/Seravezza, gennaio 2013

 

 

 


DIALOGO Bertolo_Grullicanecapovolto LA PAROLA CHE CANCELLA