a cura di Antonio Grulli

 

opening giovedì 21 marzo 2013, ore 18.30

 

dal 22 marzo al 10 aprile 2013 

  

Flickering Buildings

Ieri notte con Giulia abbiamo praticamente finito di installare. Non è stato un processo lunghissimo perché Default è una di quelle mostre in cui non conta la coreografia delle opere. Il centro di tutto sono i lavori stessi. Il contesto e il modo in cui vengono presentati è quasi insignificante. Nonostante ciò è stata una fase delicata per la fragilità voluta di quasi tutte le opere esposte.

L’artista solitamente lavora con l’architettura e lo spazio in cui si trova ad operare. Nella maggior parte dei suoi ultimi lavori la luce, le sue alterazioni e il suo utilizzo, è stata l’elemento base degli interventi. Questa è la prima volta che espone dei disegni. Ho desiderato coinvolgere lei perché intuivo vi fossero delle possibilità interessanti nella sua pratica applicata al mezzo del disegno. E infatti, come molti artisti che sono soliti confrontarsi con la grande scala e il site-specific, anche Giulia Cenci in privato disegna (molta di questa produzione non sopravvive) con tecniche più o meno classiche.

Nella stanza principale della mostra vengono presentate due serie di tre lavori. I supporti sono quelli solitamente utilizzati in alcune fasi progettuali nel mondo dell’architettura o delle belle arti.

La serie “bianca” infatti è composta da tre disegni realizzati a matita bianca su carta da lucido. I soggetti rappresentati sono elementi impermanenti e mutevoli dell’ambiente che ci circonda, come possono essere il sole o la superficie dell’acqua. Il risultato finale stesso è quanto di più mutevole. I fogli infatti non sono stati incorniciati o presentati semplicemente appesi al muro perché sarebbero diventati invisibili. L’artista ha allora pensato ad una modalità espositiva che permettesse ai visitatori di prendere in mano i disegni (bloccando uno dei lati corti con due stecche di legno, e agganciandoli al muro quasi fossero dei quotidiani in un bar) muovendoli per poter seguire le immagini continuamente cangianti; considerando anche il rischio di un loro danneggiamento.

Nella parete di fronte sono presenti altri tre disegni, questa volta su carta grafite, un materiale nero molto opaco utilizzato per ricalcare. Dei fogli delicati, strumenti da buttare una volta utilizzati, in questo caso sono veicoli di immagini al negativo (delle quasi ombre) di tre delle nuove torri edificate a Milano tra la stazione centrale e il quartiere Isola. Tre edifici che nel bene e nel male hanno già lasciato un’impronta molto forte nello skyline milanese e non solo. Mi hanno ricordato il dipinto Sodoma & Gomorrha (al centro dell’immagine le torri gemelle) fatto da Paul Thek quasi come simbolo della decadenza di New York negli anni settanta. Di sicuro questi tre disegni non sono meno cupi, anzi. Non ci sono nemmeno due patate fumanti a fare da simpatico corredo.

Nel resto dell’appartamento invece vengono presentate altre tre opere in cui il concetto di disegno viene inteso in una accezione più allargata. Due video, anche in questo caso su supporti poveri e precari, in cui le torri sono viste attraverso delle pozzanghere. E un intervento sui vetri della cucina realizzato con del colore ad acquarello. Di cui sicuramente rimarrà poco nei prossimi giorni. Non a caso per racchiudere tutte queste opere è stato scelto il titolo Default. Ma la sua accezione non deve essere intesa in senso politico o etico, quanto poetico. Questi stessi edifici, e quello che si portano dietro come carico simbolico e immaginifico, sono diventati delle gigantesche cartine di tornasole di una condizione (blocco?) psicologica(o?) in cui stiamo vivendo. Dei termometri a cui guardare quando si esce dalla fermata della metropolitana di Garibaldi per capire che piega stiano prendendo i tempi in cui siamo chiamati a vivere. Creature impaurite, tremolanti e passeggere non meno di noi o delle pozzanghere in cui si riflettono.

A.G.