Andrea Renzini
Tempo #2
a cura di Antonio Grulli
 
one day show
 
martedì 11 aprile ore 18,30_20,30
 
Gaffdabasso presenta il one day show Tempo di Andrea Renzini, seconda parte della personale attualmente in corso a LOCALEDUE (Bologna).
La tappa milanese di Tempo è inedita, fatta eccezione per un’unica opera che attraverso il vuoto segna una continuità tra le due sezioni del progetto.
 
 
 
 
 
 
Col tempo

La mostra Tempo presenta l’ultima serie di lavori di Andrea Renzini (Venezia, 1963). 

Si tratta per l’artista di un ritorno alla pittura, o forse sarebbe meglio dire di un ritorno al dipinto. I lavori esposti non sono infatti tele realizzate da Renzini. Si tratta di opere trovate in giro tra mercatini e rigattieri, ormai senza quasi alcun valore, esauste, spesso brutte, talvolta anche danneggiate, che Andrea recupera e su cui sovrappone la scritta Tempo, intesa come logo del marchio di fazzoletti forse più famoso e comune.

Negli ultimi anni l’artista ha reso sistemica la tattica dell’appropriazione e del furto di oggetti, elementi e simbologie, soprattutto dal mondo dei grandi marchi conosciuti da tutti. Basti pensare ai lavori legati al Pantone o alla serie di opere, performance e dischi, creata attraverso l’utilizzo dei macchinari e dell’immaginario del Folletto Vorwerk.

L’appropriazione e il riutilizzo di dipinti, realizzati da pittori della domenica o da pittori ormai dimenticati, è già stata praticata in passato da altri artisti. Renzini li utilizza come materiale da inserire in un box di plexiglass su cui è stato dipinto il logo dei fazzoletti. Le tele, nel loro essere così scalcinate e improbabili, prendono allora il sapore di una reliquia giunta a noi da qualche naufragio, a cui teniamo, in cui vediamo valore e che vogliamo salvare nel suo stato attuale. Appena le ho viste ho pensato ad alcuni lavori di Paul Thek, in cui arti umani o pezzi di carne marcescenti venivano inseriti in teche trasparenti che richiamavano l’estetica minimal ma che finivano per accentuare ancor di più l’elemento di “vanitas" insito in ciò che dovevano custodire.

Dopo anni in cui l’artista ha (quasi del tutto) evitato tela e pennello, ecco che torna ad avvicinarvisi, seppur senza fare nulla, come un cane che annusa qualcosa a terra per capire se fonte di pericolo o potenziale giovamento. L’azione consiste solo in questa parola, tempo, che vi viene apposta sopra e che moltiplica incredibilmente tutti gli elementi in gioco, contraddicendo la pittura stessa (forse la forma di arte che è stata vista come miglior antidoto alla morte e allo scorrere inesorabile della vita, ma che sempre ha giocato con questo passare del tempo). 

Sono qui che scrivo e penso solo a due cose: il Ritratto di vecchia di Giorgione conservato a Venezia, con quel volto immutato nei secoli e il suo cartiglio, e la maledizione di Dorian Gray costretto a non poter invecchiare.

Ma penso anche a come l’arte e i cambiamenti nell’arte si siano basati soprattutto sulle diverse forme di utilizzo degli svariati concetti di tempo e del suo fruire. Basti pensare a come la generazione di artisti in da cui è emerso Andrea Renzini abbia sempre vissuto un’arte e una vita che coincidevano con un tempo notturno, un tempo fatto di luci forti che potevano essere viste solo perché accese di notte, circondate dal buio, un tempo fatto di una dimensione sotterranea, sacra, lontana dalla commercializzazione esasperata e facile, un tempo slittato e controculturale che mai coincideva con gli orari del giorno in cui i negozi sono aperti e la gente lavora. E basti pensare a come oggi tutto invece cerchi una visibilità esasperata ed immediata, in cui gli artisti cercano di arrivare a chiunque a qualunque costo, in cui l’unico tempo che conta è quello del commercio e in cui l’utilizzo del termine “underground” è caduto in disuso.

Per questo i lavori della serie Tempo hanno valore oggi: perché vivono del lusso dell’inutile, dell’eccedenza, e dell’eccesso, di tutto quello che finisce fuori dal visibile, il lusso di utilizzare quel tempo che gli altri hanno scartato perché non produttivo, di permettersi quello che gli altri non si possono permettere perché il sistema stesso non lo permette, il lusso di vivere del lusso e dello spreco degli altri, come spazio non soggetto allo scorrere del tempo.

 

Antonio Grulli

Bologna, marzo 2017